sabato 7 novembre 2015

L’occhio di Joker, la baby Gomorra e la necessità della digital literacy.

4 novembre 2015. Pasquale “Lino” Sibillo, giovanissimo boss della paranza dei bambini di Forcella, viene arrestato in Umbria, dov’era latitante. La polizia arriva a lui grazie ad un evidente tatuaggio sul braccio, che ritrae la maschera di Joker, in un ghigno che ricorda la magistrale interpretazione di Jack Nicholson nel Batman diretto da Tim Burton.
Proprio quella pellicola ha evidentemente suggerito, quasi dieci anni fa, ad Alberto Abruzzese, tra i più noti e discussi sociologi della comunicazione europei, il titolo per una collezione di saggi, intitolata appunto “L’Occhio di Joker”, in cui si ripercorrono trent’anni di ricerca sul rapporto tra cinema e modernità. In quel volume, in primo piano, fra i temi soliti della sua attività di studioso e ricercatore non comune (la relazione tra forme estetiche e società di massa, il rapporto dei media con la nascita della metropoli e l’evoluzione dell’industria, ecc.), Abruzzese si sofferma, proprio nelle prime pagine, sul tema della formazione (termine con cui ci si riferisce all’intera sfera dell’educazione, della socializzazione dell’individuo), che a suo parere si trova ormai definitivamente nelle mani non più della scuola, ma prima di tutto della televisione, di internet, delle forme che la pubblicità produce e esprime.
Prima di gridare al lupo per la proliferazione di immagini e personaggi criminali recentemente proposta sui multischermi dei giovani italiani (cinema, tv, pc, tablet, a seconda di formato e modalità di distribuzione del prodotto, e delle vie legali o illegali per fruirne), con serie quali Gomorra e Romanzo Criminale e film come Suburra (destinato a dar vita alla prima serie tv italiana Over-the-Top grazie al triplice accordo Cattleya-Rai-Netflix), occorre prendere come riferimento le maggiori evidenze della ricerca empirica su usi e consumi dei media, che, sin dalle pioneristiche ricerche su violenza televisiva e minori condotte dal gruppo di studiosi di George Gerbner (padre della nota cultivation theory), punta l’attenzione, in maniera più o meno sfumata, sulle precondizioni sociali e culturali di chi si espone ai messaggi mediatici. Precondizioni, che, evidentemente, nel caso dei giovanissimi boss che stanno rivoluzionando il panorama della criminalità organizzata di Napoli e provincia, contano più delle serie televisive di tendenza.

D’altro canto, però, non può sfuggire come, nell’era delle comunicazioni digitali e della società networked, lo sviluppo di competenze etiche e relazionali passi sempre più attraverso la dimensione dei social network e della digital life, che per gli adolescenti di oggi coesiste a pieno titolo con la vita reale, senza nessun bisogno di separazione netta tra le due sfere (come evidenziano ad esempio recenti ricerche su amore e amicizia tra i tweens americani pubblicate dal Pew Research Center). In tal senso, piuttosto che soffermarsi sulla presunta pericolosità di serie e personaggi mediatici, di cui la maggior parte dei giovanissimi emulano look (il taglio iper-sfumato di Salvo Esposito - Genny Savastano in Gomorra) e parlato (come dimostrato dai Jackal ne “Gli effetti di Gomorra sulla gente”), più che azioni criminali, sarebbe il caso che istituzioni, imprenditori, politici e agenzie formative tradizionali (scuola e università) inseriscano, tra le loro preoccupazioni, quella di intraprendere un serio percorso di educazione alla digital literacy – che secondo la studiosa Monica Murero è “la capacità di utilizzare con consapevolezza, disinvoltura e senso critico i media digitali conoscendone linguaggi, culture, opportunità, rischi per la privacy e sicurezza dei dati personali” –  per le nuove generazioni. A meno che, sorprendentemente, non se ne occupino gli editori di old media, come alcune recenti dichiarazioni dei nuovi vertici Rai sembrano far sperare!

PS del 9 novembre 2015.
Subito dopo il suo arresto, il giovane boss/Joker Lino Sibillo è stato taggato su Facebook in un selfie scattato insieme ad una parente nella caserma umbra. La solidarietà dimostrata sul social network da amici e parenti (con commenti quali "Comm' si foooort o Sibill'" oppure "O cuggì ti amo. Sempre a testa alta e con il sorriso") ci ricorda ancora una volta che più dell'occhio di Joker, nel combattere la cultura e i valori alla base dell'illegalità, può certamente il panopticon di Zuckerberg. Peccato che le "regole di ingaggio" siano completamente affidate all'arbitrarietà dei deciders rifugiati in quel campus di Menlo Park così lontano dalla Forcella sul cui ingresso è rimasto a sorvegliare solitario il meraviglioso San Gennaro operaio di Jorit Agoch.

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