Mentre il dibattito politico e
giornalistico seguito alla morte di Genny Cesarano si concentra sulle frasi
relative alla “camorra nel DNA napoletano” attribuite alla Presidente
dell’Antimafia Rosy Bindi, in Rete impazza la discussione su un servizio
giornalistico, andato in onda domenica scorsa sul TGLa7, che mette a confronto
le voci degli abitanti della Sanità e del Vomero, intervistati su vivibilità e
camorra nei rispettivi quartieri. Nell’evidenziare le differenze di costume e di
civiltà tra il “napoletano di giù” e il vomerese, il contributo dell’inviata si
chiude con le parole di una giovane studentessa, che, forse influenzata dai
muri anti-migranti eretti nell’Ungheria di Orban, invita i suoi coetanei del
Rione Traiano a studiare nel loro quartiere, così come lei ha fatto nel suo
Vomero.
Sono stati immediati, difatti, la
diffusione virale del video su Facebook e i relativi commenti, con i distinguo
delle giovani vomeresi che hanno trovato persino l’amore giùNapoli, le esperienze
delle trentenni di Soccavo e Pianura che, grazie ad una prossimità geografica
esasperata dall’abusivismo edilizio, hanno potuto saggiare l’ambiente vomerese
durante i loro studi superiori, i soliti silenzi delle lucky ladies e dei professionisti di Chiaia e Posillipo, le boutade digitali dei creativi di Melito, nuovo epicentro nazionale
della produzione di web series.
La serie di polemiche scatenate
dal video diventa un caso di studio esemplare per comprendere come funziona il
dibattito pubblico sul più noto fra i social networks. Accade infatti sempre
più spesso che un contenuto prodotto nell’ambito del medium televisivo,
estrapolato a prescindere dal suo contesto e dal suo palinsesto di riferimento,
trovi nuova vita grazie alla condivisione sui nostri diari, distaccandosi dal flusso televisivo in cui era stato imprigionato
ai tempi di Raymond Williams, nei lontani anni ’70, e diventando, secondo la
definizione dello studioso di “cultura convergente” Henry Jenkins, spreadable, in grado ovvero di “spalmarsi”
su altri dispositivi mediali (smartphone,
tablet), e da lì su servizi e
piattaforme applicative per le comunicazioni interpersonali. I relativi
commenti generano dibattiti che ricadono spesso nell’hate speech, ovvero in quel tipo di discorso, carico di rabbia e
frustrazione, che incita all’odio nei confronti di categorie “altre”, e che non
produce alcun arricchimento della sfera pubblica, sempre più dominata da folle
polarizzate (come i ricercatori del Pew Research Center hanno definito i gruppi
di simpatizzanti politici che si confrontano sui social networks), e da singoli
individui, spinti a non esporre troppo, online
come offline, le loro opinioni su
fatti sociali e politici, tanto da far rispolverare a molti studiosi la teoria
della spirale del silenzio, immagine
dietro cui si cela un’inquietante concezione “integrativa” dell’opinione
pubblica, elaborata in Germania ai tempi del muro di Berlino.
Non manca ovviamente una giusta
dose di ironia che, come sottolinea la sociologa Sara Bentivegna, caratterizza sempre
più il discorso pubblico online, con il Royal Baby George, già protagonista
della fortunata pagina Facebook “Baby George vi disprezza”, che ricorda a tutti
di essere nato proprio al Vomero!
Se l’ironia rimane una benefica
ancora di salvezza, non si può non concludere che una Rete che divide e
contribuisce a riprodurre le enclosures
del latifondismo inglese, recinti non più di terreni, ma di idee e opinioni
destinate a non confrontarsi mai, è quella meno adatta ad affrontare le
profonde sfide umane e sociali di un Mezzogiorno alle prese con l’arrivo dei
migranti e lo spreco e la fuga dei suoi migliori cervelli (rispettivamente brain waste e brain drain): anche su questo dovranno concentrarsi le azioni
(magari sinergiche) dei governi nazionali e locali, delle istituzioni culturali
e scolastiche che da essi dipendono, e delle formazioni sociali (partiti,
associazioni, comunità professionali) da cui i nativi digitali sempre più
rifuggono.
L'articolo è stato pubblicato con il titolo "I dibattiti da evitare sulla rete" sul Corriere del Mezzogiorno - edizione del 22 settembre 2015.
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