lunedì 12 ottobre 2015

Le due Napoli su Facebook


Mentre il dibattito politico e giornalistico seguito alla morte di Genny Cesarano si concentra sulle frasi relative alla “camorra nel DNA napoletano” attribuite alla Presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, in Rete impazza la discussione su un servizio giornalistico, andato in onda domenica scorsa sul TGLa7, che mette a confronto le voci degli abitanti della Sanità e del Vomero, intervistati su vivibilità e camorra nei rispettivi quartieri. Nell’evidenziare le differenze di costume e di civiltà tra il “napoletano di giù” e il vomerese, il contributo dell’inviata si chiude con le parole di una giovane studentessa, che, forse influenzata dai muri anti-migranti eretti nell’Ungheria di Orban, invita i suoi coetanei del Rione Traiano a studiare nel loro quartiere, così come lei ha fatto nel suo Vomero.
Sono stati immediati, difatti, la diffusione virale del video su Facebook e i relativi commenti, con i distinguo delle giovani vomeresi che hanno trovato persino l’amore giùNapoli, le esperienze delle trentenni di Soccavo e Pianura che, grazie ad una prossimità geografica esasperata dall’abusivismo edilizio, hanno potuto saggiare l’ambiente vomerese durante i loro studi superiori, i soliti silenzi delle lucky ladies e dei professionisti di Chiaia e Posillipo, le boutade digitali dei  creativi di Melito, nuovo epicentro nazionale della produzione di web series.

La serie di polemiche scatenate dal video diventa un caso di studio esemplare per comprendere come funziona il dibattito pubblico sul più noto fra i social networks. Accade infatti sempre più spesso che un contenuto prodotto nell’ambito del medium televisivo, estrapolato a prescindere dal suo contesto e dal suo palinsesto di riferimento, trovi nuova vita grazie alla condivisione sui nostri diari, distaccandosi dal flusso televisivo in cui era stato imprigionato ai tempi di Raymond Williams, nei lontani anni ’70, e diventando, secondo la definizione dello studioso di “cultura convergente” Henry Jenkins, spreadable, in grado ovvero di “spalmarsi” su altri dispositivi mediali (smartphone, tablet), e da lì su servizi e piattaforme applicative per le comunicazioni interpersonali. I relativi commenti generano dibattiti che ricadono spesso nell’hate speech, ovvero in quel tipo di discorso, carico di rabbia e frustrazione, che incita all’odio nei confronti di categorie “altre”, e che non produce alcun arricchimento della sfera pubblica, sempre più dominata da folle polarizzate (come i ricercatori del Pew Research Center hanno definito i gruppi di simpatizzanti politici che si confrontano sui social networks), e da singoli individui, spinti a non esporre troppo, online come offline, le loro opinioni su fatti sociali e politici, tanto da far rispolverare a molti studiosi la teoria della spirale del silenzio, immagine dietro cui si cela un’inquietante concezione “integrativa” dell’opinione pubblica, elaborata in Germania ai tempi del muro di Berlino.

Non manca ovviamente una giusta dose di ironia che, come sottolinea la sociologa Sara Bentivegna, caratterizza sempre più il discorso pubblico online, con il Royal Baby George, già protagonista della fortunata pagina Facebook “Baby George vi disprezza”, che ricorda a tutti di essere nato proprio al Vomero!


Se l’ironia rimane una benefica ancora di salvezza, non si può non concludere che una Rete che divide e contribuisce a riprodurre le enclosures del latifondismo inglese, recinti non più di terreni, ma di idee e opinioni destinate a non confrontarsi mai, è quella meno adatta ad affrontare le profonde sfide umane e sociali di un Mezzogiorno alle prese con l’arrivo dei migranti e lo spreco e la fuga dei suoi migliori cervelli (rispettivamente brain waste e brain drain): anche su questo dovranno concentrarsi le azioni (magari sinergiche) dei governi nazionali e locali, delle istituzioni culturali e scolastiche che da essi dipendono, e delle formazioni sociali (partiti, associazioni, comunità professionali) da cui i nativi digitali sempre più rifuggono.

L'articolo è stato pubblicato con il titolo "I dibattiti da evitare sulla rete" sul Corriere del Mezzogiorno - edizione del 22 settembre 2015.

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