martedì 8 dicembre 2015

Quando precariato intellettuale e mancanza di dibattito pubblico si trasformano in odio.

Ciro Pellegrino è un giornalista napoletano da sempre attento alla realtà del web 2.0 e molto attivo sui social networks. Dopo varie esperienze di giornalismo tradizionale, quello sulla carta che sporca le mani del lettore, e l’attivismo dimostrato con la creazione del Coordinamento Giornalisti Precari campano, non a caso il nostro viene chiamato a coordinare la cronaca di Fanpage, testata nativa digitale, radicata a Napoli, forte di uno tra i migliori risultati, in termini di unique audience e tempo medio trascorso, tra i siti di informazione rilevati da Audiweb, e con un numero di like e condivisioni su Facebook nettamente superiore a quello dei principali quotidiani nazionali.
Ieri è stata pubblicata sui vari canali online della piattaforma giornalistica di Via Santa Lucia la videointervista di Pellegrino ad Antonio Bassolino, la cui (terza) candidatura a sindaco di Napoli sta facendo, per ovvie ragioni, molto discutere, anche sui social. Ciro pubblica l’intervista, pacata, veloce e adatta alla visione sul web 2.0, anche sul suo profilo personale, e immediatamente si scatenano attacchi di odio e minacce anche fisiche (a lui e consorte) provenienti non da haters professioniali o profili fake, ma da colleghi giornalisti attivi su fronti politici distanti dal bassolinismo e dal PD.
Nell’esprimere la massima solidarietà a Ciro e Raffaella per quanto accaduto a mezzo Facebook, il caso in questione dimostra ancora una volta come l’hate speech online non sia un fenomeno da analizzare con le lenti della psicologia (o psichiatria) applicate a singoli individui borderline, ma sia diventato ormai un modo generalizzato per fare (o far degenerare) la discussioni su temi di politica e attualità sui social network. Tutto ciò avviene perché il dibattito pubblico si è atomizzato in tante sfere pubbliche (tra loro) controversiali, enfatizzate dalle piattaforme digitali, che con i loro algoritmi basati sull’omofilia (di contatti, luoghi ed informazioni) ci spingono a comunicare solo con persone e opinioni a noi simili, e che l’interazione tra questi pezzi di opinione pubblica avvenga ormai solo con scontri verbali e personali anche accesi, ben oltre i flame tipici dei primi newsgroup del web 1.0, e con un generale scadimento della sfera pubblica, ormai priva – parole di Jurgen Habermas – di quel “collante inclusivo” e di quella “forza inclusoria” persi tra spazi comunicativi chiusi in sé stessi.
Inoltre, nel caso specifico, giova aggiungere che il precariato intellettuale dei giornalisti napoletani, privi spesso di editori e redazioni in cui crescere anche nell’etica e deontologia professionale, ha reso molti di loro propaggine di gruppi, fazioni e personaggi politici, e che l’attività di ufficio stampa, comunicazione e media relations sono ormai interpretate da alcuni giovani professionisti come difesa ed esaltazione ad oltranza delle gesta dei loro datori di lavoro.
La dimensione panpolitica del lavoro intellettuale nel Sud Italia e la degenerazione del dibattito pubblico sui social network saranno due immagini che non risolleveranno le preoccupazioni (e il morale) di Ciro, Raffaella e dei loro amici e familiari, ma sono sicuramente elementi che andrebbero attentamente studiati, monitorati e resi oggetto di politiche pubbliche efficaci da parte dei soggetti istituzionali coinvolti, dallo Stato alle Regioni, da organismi indipendenti di settore agli ordini professionali, dai sindacati alle associazioni di categoria. Augurandosi che il prossimo Ciro Pellegrino sulla scena del giornalismo online, dopo la pubblicazione di un’intervista, possa confrontarsi in maniera costruttiva ed equilibrata con i suoi colleghi sui social network, e magari anche in un luogo pubblico di discussione professionale.

PS A tal proposito, restando alla realtà napoletana, sarebbe interessante conoscere le sorti della Casina del Boschetto in Villa Comunale, un tempo sede del Circolo della Stampa, e da molto tempo invocata come sede di dibattiti culturali per l’Ordine professionale dei Giornalisti.

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