Ciro Pellegrino è un giornalista
napoletano da sempre attento alla realtà del web 2.0 e molto attivo sui social
networks. Dopo varie esperienze di giornalismo tradizionale, quello sulla carta
che sporca le mani del lettore, e l’attivismo dimostrato con la creazione del
Coordinamento Giornalisti Precari campano, non a caso il nostro viene chiamato a
coordinare la cronaca di Fanpage, testata nativa digitale, radicata a Napoli, forte
di uno tra i migliori risultati, in termini di unique audience e tempo medio trascorso, tra i siti di informazione
rilevati da Audiweb, e con un numero di like
e condivisioni su Facebook nettamente superiore a quello dei principali
quotidiani nazionali.
Ieri è stata pubblicata sui vari
canali online della piattaforma giornalistica di Via Santa Lucia la
videointervista di Pellegrino ad Antonio Bassolino, la cui (terza) candidatura
a sindaco di Napoli sta facendo, per ovvie ragioni, molto discutere, anche sui
social. Ciro pubblica l’intervista, pacata, veloce e adatta alla visione sul
web 2.0, anche sul suo profilo personale, e immediatamente si scatenano attacchi
di odio e minacce anche fisiche (a lui e consorte) provenienti non da haters professioniali o profili fake, ma da colleghi giornalisti attivi
su fronti politici distanti dal bassolinismo e dal PD.
Nell’esprimere la massima
solidarietà a Ciro e Raffaella per quanto accaduto a mezzo Facebook, il caso in
questione dimostra ancora una volta come l’hate
speech online non sia un fenomeno da analizzare con le lenti della
psicologia (o psichiatria) applicate a singoli individui borderline, ma sia diventato ormai un modo generalizzato per fare
(o far degenerare) la discussioni su temi di politica e attualità sui social
network. Tutto ciò avviene perché il dibattito pubblico si è atomizzato in
tante sfere pubbliche (tra loro) controversiali, enfatizzate dalle piattaforme
digitali, che con i loro algoritmi basati sull’omofilia (di contatti, luoghi ed
informazioni) ci spingono a comunicare solo con persone e opinioni a noi
simili, e che l’interazione tra questi pezzi di opinione pubblica avvenga ormai
solo con scontri verbali e personali anche accesi, ben oltre i flame tipici dei primi newsgroup del web
1.0, e con un generale scadimento della sfera pubblica, ormai priva – parole di
Jurgen Habermas – di quel “collante inclusivo” e di quella “forza inclusoria”
persi tra spazi comunicativi chiusi in sé stessi.
Inoltre, nel caso specifico,
giova aggiungere che il precariato intellettuale dei giornalisti napoletani,
privi spesso di editori e redazioni in cui crescere anche nell’etica e
deontologia professionale, ha reso molti di loro propaggine di gruppi, fazioni
e personaggi politici, e che l’attività di ufficio stampa, comunicazione e media relations sono ormai interpretate
da alcuni giovani professionisti come difesa ed esaltazione ad oltranza delle
gesta dei loro datori di lavoro.
La dimensione panpolitica del
lavoro intellettuale nel Sud Italia e la degenerazione del dibattito pubblico
sui social network saranno due immagini che non risolleveranno le
preoccupazioni (e il morale) di Ciro, Raffaella e dei loro amici e familiari,
ma sono sicuramente elementi che andrebbero attentamente studiati, monitorati e
resi oggetto di politiche pubbliche efficaci da parte dei soggetti
istituzionali coinvolti, dallo Stato alle Regioni, da organismi indipendenti di
settore agli ordini professionali, dai sindacati alle associazioni di categoria.
Augurandosi che il prossimo Ciro Pellegrino sulla scena del giornalismo online,
dopo la pubblicazione di un’intervista, possa confrontarsi in maniera
costruttiva ed equilibrata con i suoi colleghi sui social network, e magari
anche in un luogo pubblico di discussione professionale.
PS A tal proposito, restando alla
realtà napoletana, sarebbe interessante conoscere le sorti della Casina del
Boschetto in Villa Comunale, un tempo sede del Circolo della Stampa, e da molto
tempo invocata come sede di dibattiti culturali per l’Ordine professionale dei
Giornalisti.
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